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La Cassazione annulla la condanna del coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione per la morte di un operaio a causa di insufficienti misure di sicurezza, chiarendo che il ruolo di “alta vigilanza” non implica la necessità di una presenza costante in cantiere
Il ruolo del tecnico professionista che si occupa di sicurezza nei cantieri è estremamente focale, di responsabilità e richiede una particolare vigilanza da parte di chi lo riveste. Attenzione però, il delicato ruolo pocanzi accennato non dovrebbe essere mai confuso o messo alla pari con quello di un “cane da guardia”, con tutto il rispetto che dobbiamo al prezioso aiuto di sentinella svolto dal più fedele amico dell’uomo.
La Corte di Cassazione torna sulle responsabilità dei tecnici preposti in ambito di sicurezza nei cantieri e lo fa con una eloquente e illuminante sentenza: la n. 34222/2024.
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Tra i doveri del CSE è obbligatoria la presenza giornaliera e continua in cantiere? Il caso
La Corte di Appello emetteva una sentenza in parziale riforma della decisione del Tribunale riguardante un caso di omicidio colposo ai sensi dell’articolo 589 del codice penale.
L’imputato, in qualità di Coordinatore per la Sicurezza in fase di programmazione ed esecuzione del cantiere (CSE), era ritenuto responsabile della morte di un lavoratore avvenuta mentre si trovava all’interno di uno scavo per la posa di un impianto fognario. Il decesso era causato dal cedimento della parete dello scavo, che non era stata puntellata, schiacciando il lavoratore e sommergendolo di terra e pietre.
Si accusava, quindi, l’imputato di:
- omessa vigilanza e mancato intervento immediato;
- redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) privo di adeguate misure preventive e protettive specifiche per i rischi associati alle lavorazioni, con l’omissione di dettagli cruciali come le misure di coordinamento e le procedure operative necessarie risultate generiche.
Il tecnico si difendeva precisando che il PSC originario aveva già previsto, per scavi superiori a 1,50 m, la prescrizione di puntellare le pareti, senza specificare a quale lavorazione o a quale necessità dovesse essere asservito lo scavo. Egli specificava che nella successiva versione approvata del piano, le stesse identiche previsioni erano state riferite alla stessa tipologia di scavo ma relativamente alla posa di tubazioni.
Si arrivava così alla richiesta di giudizio in Cassazione.
La Suprema Corte ritiene che la Corte distrettuale non ha fornito spiegazioni sufficienti riguardo al nesso causale tra le presunte omissioni dell’imputato e l’incidente fatale:
In realtà, come già visto, il rischio di cedimento delle pareti era espressamente previsto nel PSC per qualsiasi tipo di scavo (operato per qualsiasi lavorazione) avente profondità superiore a mt. 1,50, come nel caso.
Pertanto, a rigore, le ditte esecutrici dei lavori avrebbero dovuto comunque uniformarsi a tale prescrizione, indipendentemente dalle ragioni per cui doveva essere eseguito lo scavo.
La sentenza in altre parole sottolinea che le disposizioni generali contenute nel PSC erano già chiare e applicabili a qualsiasi tipo di scavo, rendendo quindi difficile sostenere che la responsabilità potesse derivare da una genericità delle indicazioni.
Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori: quando è necessaria la presenza in cantiere?
La sentenza della Cassazione chiarisce inoltre che la funzione di “alta vigilanza” del Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione (CSE) non richiede una presenza costante in cantiere:
dovendosi in proposito rammentare il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori – che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato – riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate
Insomma, sebbene il CSE debba monitorare le lavorazioni e intervenire in caso di pericolo grave e imminente, non è obbligato a essere presente quotidianamente. È sufficiente che il CSE si presenti nei momenti critici delle lavorazioni, dove il rischio è maggiore, per esercitare il suo potere di intervento e garantire la sicurezza.
In conclusione, la Corte ha annullato la sentenza impugnata e disposto il rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello.
Per maggiore approfondimento, leggi anche questi articoli di BibLus:
Indirizzo articolo: https://biblus.acca.it/il-cse-e-tenuto-alla-presenza-quotidiana-in-cantiere/
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