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La Corte dei conti Ue ha rilevato che nel 2023 “circa un terzo dei pagamenti a fondo perduto a valere sul Recovery fund non rispettava le norme e le condizioni applicabili, al punto che 6 pagamenti” in sovvenzioni su 23 effettuati a 17 Paesi membri “erano inficiati da un livello di errore rilevante“. È quanto emerge dal report annuale dei revisori dei conti europei sul bilancio comunitario. La risposta alla domanda se il denaro dei contribuenti europei è speso bene, dunque, non sembra positiva. La Corte, esprimendo un giudizio “con rilievi”, “ha individuato anche casi di debolezze nella concezione dei traguardi e degli obiettivi” e “problemi persistenti connessi all’attendibilità delle informazioni incluse dai Paesi”. Risultato: i revisori dei conti del Lussemburgo hanno dato un giudizio complessivo “con rilievi” all’intero operato dell’Ue sul fronte del Next Generation. Per l’Italia si registra un caso di irregolarità sugli obiettivi del Piano legati alla cybersicurezza. La Penisola come è noto è lo Stato a cui spettano più risorse: 191,5 miliardi di euro a valere sulla Recovery and resilience facility, di cui 68,9 miliardi a fondo perduto e 122,6 miliardi in prestito, più 13 miliardi di euro a valere sul fondo React Eu.
La Corte – pur concludendo che i conti europei restituiscono un’immagine fedele e veritiera della situazione finanziaria – esprime preoccupazione per un livello di errore nella spesa che continua ad aumentare, arrivando al 5,6%, dal 4,2% del 2022 e dal 3% del 2021. Le irregolarità sono estese anche a una parte dei 48 miliardi sborsati lo scorso anno per il Recovery. Livelli di spesa irregolare “alti”, ha denunciato il presidente della Corte, Tony Murphy, indicando “la necessità di disporre di solide strutture di controllo e di rendicontazione, sia a livello di Stati membri che dell’Ue, al fine di preservare la fiducia dei cittadini”.
I costi aggiuntivi dell’indebitamento per il Recovery – compresi, nelle stime, tra i 17 e i 27 miliardi – mettono sotto pressione il bilancio Ue, contribuendo a un’impennata del debito pubblico che, nel 2023, ha registrato un aumento del 32%. Toccando il livello monstre di 458,5 miliardi. Ma a pesare è anche “l’effetto negativo dell’inflazione“, che si stima ridurrà il potere d’acquisto del bilancio comunitario del 13% entro la fine del 2025. “C’è un’erosione del potere di spesa, quindi a bilancio abbiamo una somma che non corrisponderà a quella” prevista inizialmente per impostare obiettivi e azioni strategiche dell’Ue, ha spiegato il membro italiano della Corte, Carlo Alberto Manfredi Selvaggi – ex capo della struttura di missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – precisando tuttavia che si tratta di “previsioni” che potranno essere poi condizionate anche dalle “decisioni future” per esempio della Bce nella direzione di “una diminuzione dei tassi di interesse“. Davanti a un debito “quasi raddoppiato rispetto al 2021″, quando si collocava a 236,7 miliardi di euro”, l’Ue è ora “uno dei maggiori emittenti di debito in Europa”. L’esposizione complessiva del bilancio dell’Ue, che misura il rischio connesso alle garanzie prestate dal bilancio e alle passività potenziali, era di 298 miliardi di euro alla fine del 2023, in aumento rispetto ai 248,3 miliardi di euro del 2022.
E per il futuro, nonostante l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità con i Paesi chiamati ora a presentare i loro Piani di bilancio con traiettorie sostenibili per il riordino dei conti pubblici, le previsioni non sono rosee. Le “eventuali inadempienze” sui prestiti concessi all’Ucraina – per la quale l’assistenza finanziaria è più che raddoppiata nel 2023, passando da 16 a 33,7 miliardi – potrebbero portare nuovi guai. E la proposta sulle risorse proprie presentata dalla Commissione per rimpinguare il bilancio, è l’avvertimento dei revisori dei conti, potrebbe non generare entrate sufficienti a rimborsare il debito connesso al Next Generation Eu.
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