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In Salute. Malattie rare: “Una dimensione europea della sanità” #adessonews

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L’ultimo gesto è stata la donazione del corpo alla scienza. Prima, l’impegno nella ricerca e nella divulgazione scientifica. Sammy Basso, biologo molecolare scomparso lo scorso 5 ottobre all’età di 28 anni, ha contribuito in modo importante a far conoscere la progeria, malattia rara con cui conviveva. E lo ha fatto attraverso un’associazione, la partecipazione a eventi pubblici e televisivi, e soprattutto dando il suo contributo agli studi sulla patologia. “Questa è una svolta rivoluzionaria. Potrebbe essere il primo passo per una cura definitiva” dichiarava a Il Bo Live nel 2019, commentando un articolo pubblicato su Nature Medicine di cui era stato co-autore. E pochi mesi fa, ancora, la sua firma compare su un altro paper, questa volta su Frontiers in Cardiovascular Medicine

“In termini tecnici viene definita Hutchinson-Gilford progeria syndrome, per indicare che la patologia presenta uno spettro di situazioni cliniche fenotipiche che hanno come comun denominatore l’invecchiamento precoce del paziente”. A parlare è Giorgio Perilongo, coordinatore del Dipartimento funzionale delle malattie rare dell’azienda ospedale-università di Padova e professore di pediatria nello stesso ateneo, con cui abbiamo discusso non solo di progeria, ma più in generale di malattie rare, investimenti in ricerca e sviluppo di farmaci.

La sindrome di Hutchinson-Gilford, in particolare, è causata da una mutazione nel gene LMNA, che contiene le informazioni per la produzione della lamina A, la proteina che controlla forma e funzionamento del nucleo cellulare, dove si trova il DNA. “Si tratta di una patologia oggetto di crescente interesse – sottolinea il docente dell’ateneo padovano –, dato che studiando i meccanismi che sono alla base di questa sindrome, probabilmente capiremo meglio anche quelli alla base del normale invecchiamento. Le malattie rare infatti, e la progeria ne è esempio, possono essere rivelatrici di meccanismi eziopatogenetici di patologie o di eventi più comuni”.

Perilongo spiega che esistono già, perlomeno nell’animale, delle evidenze che alcuni agenti biologici possono ritardare il processo  di invecchiamento precoce a cui i pazienti vanno incontro: “Anche se siamo ancora lontani dall’avere un farmaco a disposizione, stanno tuttavia aumentando le conoscenze sui meccanismi che portano alla malattia”. Lo studio pubblicato su Nature Medicine  a cui Sammy Basso ha partecipato, per esempio, propone per la progeria lo sviluppo di una terapia basata su CRISPR-Cas9, il noto sistema di editing genomico.  

Malattie rare, un’odissea diagnostica

In Europa una malattia viene considerata rara quando ha un’incidenza di 5 casi per 10.000 abitanti. La definizione, tuttavia, non è univoca a livello internazionale: negli Stati Uniti per esempio o in altre parti del mondo, come l’Asia orientale,  vengono usati criteri diversi. Si tratta dunque di un numero variabile di patologie, destinato peraltro a crescere come vedremo. Attualmente si conoscono 7.000-8.000 malattie rare che interessano 30 milioni di persone in Europa e 2 milioni in Italia. Il portale Orphanet, a cui aderiscono 41 Paesi in Europa e nel mondo, fornisce l’elenco e la classificazione di tali patologie, utili dunque a fini diagnostici; offre informazioni per il grande pubblico, indicazioni su centri specialistici e associazioni presenti sul territorio; e rende disponibili articoli e studi tematici, e dati sui farmaci orfani.  

“Le malattie rare sono molto diverse fra di loro, ma condividono alcuni fattori e uno di questi è l’odissea diagnostica. Nella maggior parte dei casi non è facile riconoscerle e spesso è problematico anche arrivare alla diagnosi di certezza genetica. Negli anni, tuttavia, proprio la genetica ha aumentato la capacità di formulare diagnosi di precisione, per cui molte patologie che un tempo non avevano un nome, perché non se ne conosceva la causa, ora invece ce l’hanno. È questa la ragione per cui si prevede che le malattie rare siano destinate ad aumentare: siamo sempre più in grado di individuare cause di malattie che prima non riuscivamo a legare a nessun evento eziopatogenetico”. Perilongo porta come esempio proprio la Hutchinson-Gilford progeria syndrome: “Inizialmente credevamo che fosse una malattia unica, mentre ora stiamo capendo che esistono fenotipi diversi legati ad alterazioni diverse”.

Il ruolo delle associazioni, tra industria e mondo politico 

Perilongo spiega che il termine “malattie rare” compare nella letteratura scientifica solo a metà degli anni Ottanta del secolo scorso, negli Stati Uniti. Fin da subito emerge la preoccupazione che le aziende non avrebbero investito nella produzione di farmaci, considerando il rapporto inversamente proporzionale tra costi dei trial clinici – richiesti dalla Food and Drug Administration per dimostrare sicurezza ed efficacia delle molecole – e guadagni. 

In Europa, invece, l’industria realizza che il campo delle malattie rare può essere un settore in cui fare ricerca, sviluppo e investimenti. “Le innovazioni farmacologiche più salienti riguardano questa classe di patologie, molto più di altre più comuni. Quando un’azienda individua un medicinale per una malattia rara, ne ha il monopolio e può cominciare a commercializzarlo a costi elevatissimi”. 

In questo contesto il ruolo delle associazioni, più che del mondo scientifico, è stato fondamentale, nella misura in cui hanno rivendicato il diritto alla cura. “Quando il loro sentire è entrato nell’arena politica, ha spinto a elaborare delle norme per facilitare l’industria a investire su farmaci che, per dimensione di mercato, non producono quel profitto derivante invece da prodotti di più largo uso”. In Italia, per esempio, il Testo unico sulle malattie rare (Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani), approvato nel 2021, prevede (anche, ma non solo) il sostegno alla ricerca sulle malattie rare e lo sviluppo dei farmaci orfani con incentivi di natura fiscale.

Perilongo sottolinea che oggi sono disponibili medicinali per poco meno del 10% circa di tutte le malattie rare. Se poi si considerano quelli che portano a completa guarigione, il numero scende significativamente e si attesta sull’1-2%: la maggior parte dei prodotti disponibili può infatti alleviare i sintomi, dare una prospettiva di vita, ma solo pochi curano effettivamente il paziente. 

Nuovi metodi di ricerca clinica: possibilità offerte dall’IA

Fare ricerca dunque si rivela essenziale, ma le intenzioni si scontrano con il numero ridotto di persone affette da malattie rare e dunque con la scarsità di dati. “Sapendo per definizione che per questo tipo di patologie non si possono organizzare studi prospettici randomizzati con migliaia di pazienti in un braccio e l’altro (i bracci sono i due gruppi di pazienti che ricevono o meno il trattamento oggetto di sperimentazione, ndr), si stanno sviluppando delle metodologie di ricerca clinica, delle tecnologie che consentono in qualche modo di ovviare a questo ostacolo. L’intelligenza artificiale, per esempio, sta offrendo delle possibilità a cui non avremmo mai pensato. Oggi abbiamo trial clinici in cui un braccio di controllo è definito da dati sintetici, che si ottengono elaborando le informazioni dei pochi pazienti con la malattia rara oggetto di studio”. I dati sintetici sono creati artificialmente da algoritmi informatici: derivano cioè da dati reali estratti da sistemi informatici ospedalieri, o database di dati clinici, che vengono poi riformulati dall’IA per generare “pazienti virtuali”. 

Perilongo si sofferma anche su possibilità di altro tipo. “Esistono modelli basati su algoritmi, sempre più sofisticati e in rete fra di loro, che permettono  di passare molto più rapidamente dalla piastra di Petri – dove si eseguono gli studi in vitro di funzionalità, gli studi sugli animali – all’uomo. Grazie a questi algoritmi infatti si riesce  a stabilire a priori con maggior precisione, ma comunque in maniera convincente, l’efficacia d’uso della molecola oggetto di studio. Ci sono farmaci che la Food and Drug Administration ha licenziato solo sulla base di questi dati”. 

Ma non solo. Il docente spiega che per le malattie rare anche un singolo paziente può essere sufficiente per dimostrare la potenziale efficacia di un farmaco, così da consentirne l’utilizzo, ovviamente con tutti i limiti di una sperimentazione condotta su una sola persona. Il trial su un singolo caso, tuttavia, è ormai una metodica usata per questo tipo di patologie.  

“Oggi la tecnologia ci permette di ridurre molto i tempi che intercorrono tra l’intuizione sull’uso di una possibile molecola e la produzione del farmaco, proprio sfruttando la possibilità di creare situazioni virtuali, di per sé vicinissime a quelle reali. Si tratta di una rivoluzione nell’ambito della ricerca clinica, dato che queste metodologie potrebbero consentire la riduzione del tempo medio di produzione e commercializzazione di un farmaco a uno, due anni, invece dei dieci oggi mediamente necessari”. 

Una dimensione europea della sanità

Perilongo conclude con una riflessione: “Le malattie rare hanno dato vita a una dimensione europea della sanità, perché la rarità ha generato la necessità di lavorare insieme. Tra il 2017 e il 2019 sono state lanciate 24 reti di riferimento europee (European Reference Networks for rare diseases – ERN) che uniscono fra loro ospedali di eccellenza con le competenze necessarie per trattare 24 gruppi di patologie rare (patologie del cuore, del fegato, dell’occhio e così via). Le malattie rare possono essere considerate il paradigma della medicina del futuro, nella misura in cui sono sinonimo di complessità, richiedono un lavoro multidisciplinare, e rappresentano il modello di quello che dev’essere il rapporto con il mondo del sociale, che vuole essere protagonista della sua malattia e della politica che si genera attorno a queste patologie”. Il docente propone una serie di tematiche che vengono approfondite anche nel volume di prossima pubblicazione curato con Fabiola Bologna, dal titolo Malattie rare. Una Sfida tra passato e futuro (editori Laterza).

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In questa stessa direzione, nelle scorse settimane è stata avviata una nuova partnership europea sulle malattie rare (Erdera): con 180 partner provenienti da 37 Paesi e un budget stimato di 380 milioni di Euro, è il più grande partenariato cofinanziato nel campo della ricerca scientifica sulle malattie rare. Della somma stanziata, circa 150 milioni saranno dati dall’Unione Europea tramite Horizon Europe, mentre il rimanente sarà fornito dagli Stati membri, Paesi associati e partner pubblici e privati. 

 





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