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Il mantenimento di un buon tenore idrico nei primi 10-20 mm di terreno abbassa significativamente la percentuale di schiusura delle uova e ostacola sensibilmente il movimento delle larve sgusciate verso le radici
Tra gli insetti xylofagi (che si nutrono del legno) delle drupacee, il coleottero Capnodis tenebrionis (capnode) è endemicamente diffuso sia al Sud che nelle aree centro settentrionali italiane dove attacca varie specie di piante, in particolare le drupacee, con una predilezione per l’albicocco e per le piante in stress idrico.
Gli adulti, che si nutrono delle foglie e delle gemme, non sono facilmente visibili mentre è più agevole osservare gli effetti della loro attività trofica perché dalla primavera si alimentano della parte del picciolo vicino alla lamina fogliare, provocando il distacco di quest’ultima ma non del picciolo che rimane attaccato al ramo. Questa particolare defogliazione può essere più facilmente individuata osservando i rami che si stagliano contro il cielo o osservando sul terreno numerose lamine fogliari cadute.
Le piante adulte generalmente sopportano abbastanza l’attività trofica degli adulti se questa è limitata mentre ben più gravi sono i danni provocati dalle larve che si sviluppano all’interno delle radici e del colletto compromettendo seriamente la funzionalità del sistema conduttore dell’albero. L’infestazione larvale si manifesta dopo diverso tempo attraverso sintomi aspecifici di “sofferenza radicale” quali appassimento fogliare, disseccamento di settori della chioma, emissione di gomma su tronco e branche più grandi.
Articolo pubblicato sulla rubrica L’occhio del fitopatologo di Terra e Vita
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Svernamento e ripresa dell’attività
Il capnode necessita solitamente di due anni per compiere una generazione, in dipendenza delle condizioni climatiche e delle caratteristiche dell’ospite vegetale. Gli adulti trascorrono l’inverno in ripari di fortuna e riprendono la loro attività in primavera per accoppiandosi con temperature di almeno 23-25 °C. L’ovideposizione inizia già a maggio e si protrae fino a settembre, con punte massime in Italia meridionale a inizio estate. Le larve neonate, muovendosi nel terreno, raggiungono una radice della pianta ospite e vi penetrano, dando inizio all’escavazione di gallerie prevalentemente sottocorticali.
Strategie di controllo
Il controllo del capnode non è facile, soprattutto se non si individua precocemente l’infestazione, e richiede l’applicazione integrata di più metodi per diversi anni.
Il mantenimento di un buon tenore idrico nei primi 10-20 mm di terreno abbassa significativamente la percentuale di schiusura delle uova e ostacola sensibilmente il movimento delle larve sgusciate verso le radici. Per questo, nei frutteti infestati sono da preferire i microirrigatori, capaci di bagnare l’intero filare, ai gocciolatori.
Buoni risultati contro le infestazioni larvali possono essere ottenuti con l’applicazione al suolo di nematodi entomoparassiti (es. Steinernema carpocapsae, S. feltiae, Heterorhabditis bacteriophora) che si muovono attivamente alla ricerca delle larve.
Il controllo chimico è rivolto essenzialmente contro gli adulti, ma l’efficacia degli insetticidi registrati è limitata e, funzionando essenzialmente per ingestione, bisogna accettare comunque il danno trofico degli insetti. In questo periodo, gli adulti si preparano a trascorre l’inverno nutrendosi prevalentemente di gemme, aumentando il danno alle piante.
Con l’abbassarsi delle temperature diminuisce anche la mobilità degli adulti che, in impianti con chioma contenuta, possono anche essere catturati manualmente. Pratica, questa, “biologica” e spesso più efficace (anche nel rapporto costo/beneficio) dei trattamenti chimici.
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