- Il Fondo Automotive, ideato dal governo Draghi per sostenere la transizione ecologica del comparto automobilistico, subirà un drastico taglio di 4,55 miliardi di euro.
- L’ammontare dei fondi disponibili sarà dunque di soli 450 milioni euro nel 2025 e successivamente 200 milioni all’anno fino al 2030, andando a intaccare i cosiddetti Bonus Auto per l’acquisto di veicoli sostenibili.
- Sindacati e associazioni di categoria denunciano una manovra che potrebbe risultare fatale per l’eccellenza automobilistica italiana, con un’inevitabile perdita di posti di lavoro.
Non c’è tregua per il settore automotive. Dopo la batosta dei profitti Stellantis, che nella prima metà del 2024 hanno subito una contrazione del 48%, la Legge di Bilancio 2025 promette un’altra stangata, forse più grave: il drastico taglio del Fondo Automotive, istituito nel 2022 dal governo Draghi per sostenere la transizione ecologica dell’industria automobilistica italiana.
I 5,8 miliardi di euro ancora disponibili dei 8,7 inizialmente previsti fino al 2030 scenderanno a 1,2 miliardi, in una improvvisa battuta d’arresto per i futuri Bonus Auto previsti. Una batosta per le associazioni di categoria, che chiedono un incontro urgente a Palazzo Chigi per rinegoziare quella che ritengono essere una scelta fatale per il comparto.
Cos’è il Fondo Automotive e come si collega ai Bonus Auto
Prima di parlare di numeri, però, è opportuno comprendere la natura del Fondo Automotive, nato per rispondere a una sfida cruciale: rendere l’industria automobilistica italiana competitiva sul fronte della mobilità sostenibile e della decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi ecologici fissati dall’Unione Europea.
Nelle intenzioni del governo Draghi, il fondo avrebbe dovuto sostenere in modo diretto l’acquisto di veicoli a basse emissioni tramite i cosiddetti “Bonus Auto”, incentivi diretti rivolti ai consumatori. Il tutto per favorire la transizione delle aziende verso produzioni a ridotto impatto ambientale e sviluppare una rete di infrastrutture moderne.
Una strategia che mirava a garantire la modernizzazione del settore con un piano di investimenti continuo e progressivo, sfruttando gli 8,7 miliardi di euro stanziati fino al 2030, con un budget annuale di circa un miliardo, anche e soprattutto per spingere i cittadini italiani a rivolgersi alla mobilità sostenibile.
Le ragioni dei tagli ai Bonus Auto
Con il taglio previsto dalla Legge di Bilancio 2025, le risorse subiranno invece un progressivo stillicidio: dal prossimo anno il fondo si ridurrà a 450 milioni per poi scendere a 200 milioni annui, una cifra che, se paragonata agli investimenti iniziali, rappresenta poco più di un palliativo.
La comparazione va infatti fatta con i 950 milioni stanziati nel 2024, dei quali 790 milioni erano riservati esclusivamente agli incentivi per l’acquisto di veicoli. Per dare un’idea della domanda, basti pensare che solo lo scorso 3 giugno, tra le 10:00 e le 18:35, i 201 milioni dedicati alle auto elettriche sono stati interamente esauriti, con una velocità di spesa che ha superato i 390 mila euro al minuto. Eppure, nel 2025, nessun Ecobonus per l’acquisto di nuove auto.
La riduzione complessiva di 4,55 miliardi di euro, da destinare alla Difesa, viene dunque letta come un voltafaccia che le imprese del settore e i sindacati non esitano a definire disastroso, non solo per gli obiettivi di sostenibilità, ma anche per il tessuto industriale italiano, già colpito da una crisi senza precedenti e in cerca di una transizione tanto necessaria quanto ormai appesa a un filo.
Il governo, dal canto suo, giustifica il ridimensionamento del Fondo Automotive con la necessità di ridurre la spesa pubblica, aspetto che considera prioritario per reperire risorse utili al sostegno di altre aree. Tra gli obiettivi indicati dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, vi è la riduzione del cuneo fiscale, intervento ritenuto fondamentale per sostenere i redditi delle classi medie, che si trovano oggi più che mai sotto pressione.
Il prezzo di queste scelte rischia però di compromettere seriamente la competitività del settore automobilistico nazionale in un momento cruciale, in cui l’intera Europa si sta orientando verso veicoli a basse emissioni.
È ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, a denunciare:
Il taglio previsto dal Disegno di Legge di Bilancio 2025 alle già scarse risorse stanziate nel 2020 è un’inaccettabile fulmine a ciel sereno che contraddice in maniera clamorosa l’importante attività che il Governo sta svolgendo in Europa a favore del settore per migliorare la regolamentazione.
Una contraddizione che potrebbe avere conseguenze molto gravi se il taglio non sarà ridotto nell’iter di approvazione della manovra in Parlamento.
Mentre la domanda di veicoli a combustibili fossili è in calo e le aziende automobilistiche affrontano già una serie di sfide collegate all’innovazione e all’internazionalizzazione, una filiera che conta oltre 270.000 addetti diretti ed ha un fatturato di oltre 100 miliardi rischia di vedersi sottratte risorse fondamentali a una trasformazione ormai mandatoria, i cui risultati dovranno essere portati in un brevissimo periodo. A rischio, sempre secondo ANFIA, “la sopravvivenza stessa di un’eccellenza italiana”.
Le conseguenze dei tagli
Le ricadute del taglio non tarderanno a farsi sentire. Ridurre drasticamente le risorse destinate alla sostenibilità implica di fatto una riduzione degli incentivi per i consumatori e per le imprese che limita gli investimenti necessari per rinnovare il parco veicoli italiano e sostenere l’acquisto di auto a basse emissioni.
Il risultato? Un rallentamento inevitabile della diffusione del comparto elettrico, a discapito anche delle infrastrutture per la mobilità sostenibile.
Il problema non si ferma però qui. L’automotive italiano, già provato dalla crisi dei semiconduttori e dalla concorrenza internazionale, si trova oggi a fronteggiare una competizione agguerrita da parte di Paesi europei che non solo incentivano pesantemente la transizione ecologica ma offrono anche un supporto strutturale ai propri produttori nazionali.
Tagliare le gambe al Fondo Automotive significa, secondo i sindacati, lasciare l’Italia sempre più indietro rispetto alle principali economie europee e favorire di fatto un esodo di competenze e tecnologie verso mercati esteri più incentivanti.
Il rischio di un impatto strutturale sul settore
Ma l’impatto peggiore si avrà anche e soprattutto sul capitale umano. FIOM, FIM e UILM parlano di un settore totalmente ignorato, e con esso, le richieste di oltre 20 mila lavoratori che già scioperano, preoccupati per un futuro sempre più incerto in cui la transizione ecologica rischia di trasformarsi in un’onda di licenziamenti e precarizzazione.
Imprese e i sindacati temono che la riduzione delle risorse possa portare alla perdita di migliaia di posti di lavoro, aggravando ulteriormente la crisi occupazionale. Una chiamata lontanissima dalle dichiarazioni fatte in precedenza dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che solo a inizio anno si era impegnato a garantire che la filiera dell’automotive avesse gli strumenti per la transazione.
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