“Queste persone hanno ottenuto un contratto regolare dopo aver scioperato contro i turni di lavoro 12 ore al giorno per sette giorni, finti part time e assenza di diritti e improvvisamente a metà ottobre l’azienda gli ha comunicato che avrebbe chiuso l’attività il 31 del mese con la rescissione dei contratti – spiega Arturo Gambassi dei Sudd Cobas – Da allora abbiamo avviato un presidio permanente giorno e notte, con i lavoratori in sciopero, per evitare lo smantellamento della fabbrica e la fuoriuscita dei macchinari. Chiediamo che venga attivata la cassa integrazione, come ammortizzatore sociale e l’avvio di una trattativa sindacale, entrambe negate dalla proprietà, che si rifiuta di parlare con noi“.
Lunedì scorso, viene aggiunto, si è svolto un tavolo in prefettura, ma la situazione non si è sbloccata. “Il governo ha deliberato dieci settimane aggiuntive di cassa integrazione in deroga per il settore della moda, non capiamo perché non venga chiesta – prosegue il sindacalista – Non vorremmo che fosse un’altra storia di delocalizzazione. Per molti lavoratori c’è un’ulteriore beffa: hanno lavorato solo per pochi mesi con contratti regolari, nonostante siano lì da tempo. Per questo anche con la domanda di Naspi i contributi che gli arrivano sono pochissimi“.
Gambassi fa un appello alle istituzioni: “Bene la condanna dello sfruttamento e delle violenze nel tessile, ma occorre fare di più per tutelare quei posti di lavoro regolari, ottenuti grazie alle lotte sindacali“.
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