Mentre l’università pubblica viene definanziata, quelle private telematiche vengono favorite. Proprio con la motivazione che fornirebbero un servizio verso gli studenti a basso reddito, impossibilitati a pagare affitti carissimi nelle città universitarie o a seguire i corsi a causa di un lavoro. In pratica il governo di destra con una mano taglia il diritto alla studio, con l’altra facilita l’esercizio dei privati che hanno interesse a fare profitto con la formazione. E nonostante ciò le forze della maggioranza trovano il modo di litigare.
Sarebbe finalmente in dirittura di arrivo il decreto sulle telematiche della ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini. Previsto fin dallo scorso anno, il decreto ha avuto una gestazione lunghissima per le resistenze della Lega che si è fatta rappresentante degli interessi dei privati. Non da sola. A fare lobbing c’è anche l’ex deputato del Pd Luciano Violante, oggi presidente del gruppo Multiversity (controllato dal fondo britannico Cvc Capital Partners) che raggruppa Pegaso, Mercatorum e San Raffaele per un totale di studenti superiore a quello della Sapienza di Roma. Anche gli altri nomi dell’advisory board del gruppo non sono da meno: Pierluigi Ciocca, già vicedirettore generale di Bankitalia; Gianni De Gennaro, capo della polizia durante il G8 di Genova, già sottosegretario del governo Monti e presidente di Leonardo fino al 2020; Monica Maggioni, ex presidente Rai; Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stato; Giovanni Salvi, Cassazione. E la situazione delle altre università telematiche non è dissimile.
Al momento quelle accreditate al Mur sono 11, di cui 9 private (Pegaso, E-Campus, Mercatorum, Unicusano, Uninettuno, Unimarconi, San Raffaele, Unitelma, Unifortunato, IUL, Unidav). Ognuna di queste non agisce, naturalmente, per mecenatismo ma rappresenta gli interessi peculiari di un gruppo di persone o di referenti politici, autorizzate dalla riforma Gelmini del 2010 e dal parere del 2019 del Consiglio di Stato che ha consentito alle università di diventare società di capitali. Il decreto del 2021 dell’ex ministra Maria Cristina Messa, indicava la fine del 2024 come termine per equiparare il rapporto tra il numero di docenti e di studenti degli atenei telematici a quelle dei tradizionali. Il Carroccio, con un emendamento al Milleproroghe a prima firma di Edoardo Ziello aveva rinviato la scadenza di un anno e avrebbe voluto farlo ancora, se Bernini non si fosse messa in testa un riordino della materia.
La guerra intestina al centrodestra però sembra vinta dai salviniani che prima hanno ottenuto un tavolo di lavoro al Mur, poi l’istituzione di un intergruppo parlamentare presieduto da Ziello, e infine l’annacquamento definitivo del decreto. «Metteremo a punto proposte per garantire il diritto agli studi a tutte quelle famiglie che non possono permettersi di sostenere fuori sede», aveva dichiarato Ziello per giustificare la sua attività a favore delle telematiche. Ma come? Non finanziando borse di studio, studentati pubblici o politiche per la casa ma permettendo appunto alle private di continuare ad agire in deroga alle indicazioni che ministero e Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca) impongono alle università tradizionali, come il rapporto tra docenti e studenti.
Mentre negli ultimi 10 anni nelle università statali tradizionali il numero di studenti è diminuito di 19 mila unità, negli atenei telematici le immatricolazioni sono aumentate del 410%. L’offerta formativa è cresciuta di pari passo (dai 70 corsi del 2011 ai 250 del 2024), ma non le docenze: il rapporto medio studenti-docente negli atenei a distanza è di 384,8 a 1, mentre nelle università tradizionali è di 28,5 a 1 (già alto rispetto alla media europea di 1 a 14,3). La stragrande maggioranza dei professori è precaria. Come ha rilevato la Flc Cgil nel rapporto “Il piano inclinato”, oggi si è in presenza di «un salto di qualità nella possibilità di costituire università profit, nel trasferimento delle loro logiche distorte agli atenei in presenza, la mancanza di controllo sta producendo disastri. C’è inoltre un dumping al ribasso nelle condizioni di lavoro non accettabile».
Tuttavia nell’ultima bozza di decreto circolata si prevede che il numero dei docenti necessari per attivare dei corsi telematici resti quello stabilito nel 2021 ma il numero degli studenti viene raddoppiato e si concede agli atenei telematici altro tempo per adeguarsi alle regole di accreditamento. Anche sulla percentuale di lezioni in presenza, su cui gli atenei telematici hanno dato battaglia, ci si è limitati però ad esami e sedute di laurea, salvo deroghe. Insomma se il decreto viene portato a termine si tratta comunque di un compromesso al ribasso, altrimenti si rimane nello status quo che avvantaggia i privati.
«Che non costino allo Stato e che qualsiasi formazione offrano è un di più è un falso – aveva commentato qualche mese fa Giovanna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori (Crui) – Non può bastare lo schermo di un pc per formare brillanti coscienze critiche. A un ragazzo che vive in una zona remota del Paese devi dare una borsa di studio e farlo studiare in un ateneo di grande qualità non dirgli “stai a casa e ti faccio un favore se prendi una laurea digitale”. Le telematiche non sono un ascensore sociale, creano soltanto studenti di altro tipo»
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