Le comunicazioni via email, WhatsApp e SMS, memorizzate all’interno di un dispositivo elettronico, mantengono il loro status di corrispondenza anche dopo essere state ricevute dal destinatario.
Questa condizione perdura finché, a causa del tempo trascorso o per altri motivi, tali comunicazioni non perdono completamente la loro attualità, diventando così un semplice documento “storico”.
Questo è quanto stabilito dalla sentenza n. 39548 della Cassazione penale, Sez. VI, del 28 ottobre 2024.
In una decisione recente, la Corte di cassazione ha adottato insegnamenti provenienti dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e dalla nostra Corte costituzionale, evidenziando l’attenzione del nostro massimo organo giurisdizionale nei confronti dei diritti e delle libertà fondamentali, sia a livello nazionale che europeo.
La Corte ha definito un principio giuridico innovativo: in merito ai mezzi di prova, i messaggi delle mail, WhatsApp e SMS conservati su un dispositivo sono ritenuti corrispondenza, anche dopo la ricezione, fino a quando non perdono ogni attualità.
Di conseguenza, fino a quel momento, la loro acquisizione deve avvenire secondo le modalità previste dall’art. 254 c.p.p., relative al sequestro della corrispondenza.
Con questo, si supera un precedente orientamento giurisprudenziale, secondo cui i messaggi digitali erano classificati come documenti.
Nella sua motivazione, la Corte di legittimità ha citato la Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 170 del 22 giugno 2023, aveva stabilito che l’acquisizione di messaggi da un telefono cellulare non costituisce intercettazione, poiché non sussistono i requisiti di comunicazione in corso e clandestinità.
Tali messaggi rientrano invece nella categoria della “corrispondenza”, che include ogni forma di comunicazione umana, indipendentemente dal mezzo utilizzato.
Essendo considerati “corrispondenza”, questi messaggi godono delle garanzie previste dall’art. 15 della Costituzione, che garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. L’intervento dell’autorità giudiziaria è necessario per limitarne l’accesso, e devono essere rispettate le garanzie legali stabilite.
La Corte costituzionale estende la definizione di “corrispondenza” alla posta elettronica, ai messaggi WhatsApp e alla messaggistica istantanea, equiparandoli a lettere o biglietti chiusi, e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la protezione di tali comunicazioni ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea.
Inoltre, la pronuncia della Corte di cassazione fa riferimento a una recente decisione della Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato la questione della riservatezza dei messaggi su dispositivi mobili, affermando che per accedere ai dati contenuti in un cellulare è necessaria l’autorizzazione di un giudice o di un’autorità amministrativa indipendente.
La Corte ha stabilito che le normative nazionali possono consentire l’accesso ai dati, a condizione che siano chiaramente definiti i reati interessati e che siano rispettati i principi di proporzionalità e controllo giudiziario.
La decisione della Cassazione rispecchia sia l’art. 15 della Costituzione sia la Direttiva (UE) 2016/680. Tuttavia, essa non è completamente in linea con il nostro codice di procedura penale. È giusto riconoscere i messaggi sul cellulare come “corrispondenza” e non come “documenti”, richiedendo un provvedimento giudiziario per la loro acquisizione, ma l’art. 15 della Costituzione implica anche il rispetto della riserva di legge.
Attualmente, il nostro codice non prevede esplicitamente il sequestro della corrispondenza custodita presso privati, creando una lacuna che il legislatore deve colmare.
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La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
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