Oltre venti milioni di euro. È questa la cifra che servirebbe per un restauro del Politeama (che la giunta Rapinese ha ora deciso di vendere, inserendolo nel piano delle alienazioni) mantenendo il teatro, secondo chi ha provato a valutare tutte le necessità di un polo culturale polifunzionale. Soldi difficili da reperire e anche la strada dei bandi europei non garantisce risultati certi.
Qualche indicazione dettagliata si potrà avere dal gruppo di operatori culturali ed esperti che hanno studiato a fondo il possibile futuro dell’edificio tra viale Cavallotti e via Gallio. L’ormai ex liquidatore della società Politeama srl Francesco Nessi, che ha concluso il suo mandato con la vendita al Comune dell’immobile, assicura che «a brevissimo verrà presentata la relazione del tavolo di lavoro che ha coinvolto 40 tecnici».
Ma cosa resta ora del Politeama? Verrebbe da dire nemmeno la scritta, visto che qualche lettera è caduta sotto il peso del tempo e, soprattutto, dell’abbandono. Parliamo di un edificio di quattro piani a cui se ne aggiunge uno interrato con una superficie totale di 2.788 mq (1.352 mq coperti), corrispondenti a poco meno di 15mila metri cubi (14.950 per la precisione).
Nel dettaglio è composto da quattro unità immobiliari abitative (circa 300 mq), un teatro-cinema con i vani accessori (1760 mq) e ancora albergo-pensione (poco meno di 500 mq) e parte commerciale (ristorante e bar per 157 mq). Le strutture portanti sono in muratura e cemento armato, ancora oggi molto solide: benché si tratti di un immobile costruito a partire dal 1909 e in quattordici mesi, fu infatti il primo edificio comasco con parti strutturali in calcestruzzo armato. Nonostante abbia 114 anni i problemi sono legati alle pavimentazioni e alle solette interne, così come al palco e alla copertura.
I vincoli
È sottoposto a vincoli monumentali e ambientali e viene considerato, insieme al Politeama di Palermo (costruito nel 1874) uno degli esempi più significativi in Italia di quella tipologia edilizia speciale che prese piede tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con funzioni “ibride”. L’ingresso dal retro porta al sotto palco, sostenuto da una struttura in legno molto precaria da cui si accede a una serie di scale che si aprono su corridoi dove una volta c’era la foresteria che ospitava le compagnie teatrali (alle pareti c’è ancora la carta da parati con motivi floreali).
Gli arredi
Di arredi non ce ne sono più, tranne qualche specchio, alcune poltrone e, in una stanza, sono accatastate vecchie porte. Le lampade, storiche e particolari, sono tutte ai loro posti, ma ovviamente sono spente. Guardandole, però, si può andare indietro nel tempo con l’immaginazione e pensarle accese e funzionanti. Da una scala in cemento si sale e la vista si apre esattamente sopra al palcoscenico: si vede bene la struttura che teneva le quinte, ma anche le scenografie e dove, negli anni del cinema, venivano proiettati i film. Ci sono ancora perfino alcune locandine, compreso “Big fish” di Tim Burton e, sul muro, la scritta gigante “non fumare”.
Il cuore del palazzo è il grande salone con le poltroncine in velluto rosso al loro posto, nuvole di polvere, le balconate, i posti in gradinata e le lampade bianche. Al piano terra ci sono ancora la biglietteria e i locali (vuoti) del bar e della pizzeria, gli ultimi a chiudere.
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