Etica e governance delle tecnologie digitali dovrebbero andare di pari passo, sia per identificare i valori e diritti che il digitale deve rispettare sia per assicurarci che effettivamente valori e diritti siano propriamente rispettati nella progettazione, sviluppo e uso di queste tecnologie. Insieme etica e governance ricordano l’adagio inglese talk the talk (l’etica) and walk the walk (la governance).
Fino a qui il lavoro sia degli eticisti sia dei giuristi, in particolar modo i costituzionalisti, si è incentrato su talking the talk, vale a dire rispondere a domande come quali sia i rischi etici dell’Ia? Cosa è eticamente accettabile e desiderabile quando si parla di Ia? Come tradurre giuridicamente le nuove esigenze di tutela per gli individui che l’accelerazione del processo di automazione porta con sé? È necessario rispondere colpo su colpo, con nuovi testi normativi, ai sempre più crescenti “strappi” in avanti della tecnologia?
Il talking è stato fruttuoso, si sono moltiplicati convegni, dibattiti e pubblicazioni che delineano carte dei diritti, principi e diritti ad hoc, pensati per il mondo dei bit. Nel caso dell’intelligenza artificiale (Ia), per esempio, si sono moltiplicati codici e principi etici per la progettazione, sviluppo e uso dell’Ia, come i famosi principi dalla Commissione europea del 2018 e quelli dell’Osce. Nel 2019 si contavano almeno 84 documenti che definivano i principi etici per l’Ia.
Con riguardo invece alla riflessione costituzionalistica, il Berkman Klein Center for Internet & Society dell’Università di Harvard ha contato più di 70 carte dei diritti e dei doveri su Internet, create con l’obiettivo di fornire principi guida per il comportamento online e la regolamentazione della rete. Una delle ultime e più rilevanti, per l’Unione Europea, iniziative in questo senso, è la Dichiarazione comune sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale, proclamata dal Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione il 15 dicembre 2022.
Un’iniziativa rilevante è stata anche l’Internet & Jurisdiction Project, che ha documentato l’esistenza di numerose carte di diritti e doveri, incluse quelle stilate a livello nazionale, regionale e globale.
Queste carte hanno lo scopo di promuovere i diritti umani online, proteggere la privacy e la libertà d’espressione, e stabilire linee guida per il rispetto delle norme sulla protezione dei dati e la responsabilità delle piattaforme digitali.
I principi etici e costituzionali sviluppati in questa fase sono stati criticati per essere troppo astratti per offrire una guida concreta alla progettazione, allo sviluppo e all’uso dei nuovi sistemi di Ia e più in generale del digitale. In altre parole, molto talking e poco walking.
In particolare, per quanto riguarda le carte dei diritti prima ricordate, si è parlato di inflazione di principi e diritti che non porterebbe ad un innalzamento della tutela complessiva ma, al contrario, ad un rischio di collisione (tra diritti e principi) con la possibilità concreta di un esito opposto rispetto a quello atteso, ovvero di abbassamento della protezione costituzionale.
(Nella foto: Oreste Pollicino, Professore ordinario di diritto costituzionale alla Bocconi di Milano)
Noi crediamo che queste critiche, pur effettivamente mettendo il segno su una moltiplicazione esistente, siano mal fondate, perché confondono i principi etici e costituzionali con le prassi che ne devono seguire. I principi sono la bussola, non la mappa; indicano l’obiettivo, non la strada per raggiungerlo. Ci dicono per esempio che l’uso dell’Ia deve essere giusto ed equo, non cosa fare perché sia così in pratica.
Tuttavia, queste critiche sono importanti perché evidenziano un rischio serio: senza un’adeguata implementazione tutto questo parlare di etica e principi fondanti sarà stato vacuo o, peggio, rischia di trivializzare i problemi etici, sociali e legali che il digitale porta con sé. Per essere efficaci, i principi etici e costituzionali focalizzati sul digitale devono essere accompagnati da linee guida che permettano di rispondere alla domanda «come fornitore/designer/sviluppatore/utente cosa devo fare per garantire che la fase del lifecycle della tecnologia in cui si è coinvolti rispettino, da un parte, i principi etici e dall’altra garantiscano la giustiziabilità dei diritti proclamati, prevedendo un accesso effettivo alla giustizia come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea?»
La definizione di queste linee guida (il walking) non è banale, perché è il risultato di un processo di interpretazione dei principi che deve mantenere una sua legittimità, garantendo la rappresentazione di tutti gli interessi coinvolti, ma anche trasparenza e scrutabilità.
Tanto la dimensione etica quanto quella costituzionale richiedono di bilanciare principi e diritti fondamentali, per esempio tra la protezione della privacy e il diritto alla sicurezza, che può implicare forme di sorveglianza. Serve dunque una metodologia per l’interpretazione che definisca chiaramente le relazioni di precedenza tra i principi e diritti, prendendo in considerazione i criteri che fungono da guida in queste operazioni di bilanciamento: quelli della proporzionalità e della ragionevolezza.
Tanto più il contesto in cui si opera è ad alto rischio – che sia la difesa nazionale, la gestione della salute pubblica o la cybersicurezza – tanto più la legittimità del processo di interpretazione dei principi per una governance etica del digitale è cruciale. Parleremo nel nostro prossimo contributo* di questo processo, guardando anche al fenomeno crescente della co-regolamentazione pubblico-privato nel digitale. Per ora basti dire che senza un’adeguata metodologia, questa interpretazione rischia di svilire se non deviare la strada per la governance etica del digitale e quindi di rendere vano il talking e pericoloso il walking.
di Mariarosaria Taddeo e Oreste Pollicino (fonte: Il Sole 24 Ore)
*Il precedente articolo è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore del 18 ottobre 2024
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