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Negli anni ’60, l’acquisto di un’auto non rappresentava un esborso così gravoso come succede oggi: ecco cos’è cambiato.
L’impressione generale è che tante cose fossero assai più accessibili per il ceto medio negli anni passati. Non è un’illusione prospettiva: è davvero così… Ragionando sui prezzi, non sembra tuttavia così strano che i beni contemporanei, più tecnologici, raffinati e sviluppati, siano più cari rispetto alle loro più antiche versioni. Ciò che non torna o che desta disappunto è la perdita potere d’acquisto specie per chi quei beni dovrebbe averli a disposizione per poter condurre una vita non da riccone ma da medio cittadino.
Nel 1960, per un operaio italiano l’acquisto dell’auto non era una spesa così spaventosa: con sei o sette stipendi, al massimo otto, era possibile accaparrarsi una vettura nuova. Oggi, un veicolo equivalente, è indisponibile alla maggior parte dei lavoratori con uno stipendio medio-basso: l’auto dal prezzo più ridotto sul mercato ha un prezzo equivalente ad almeno un anno di stipendio.
Negli anni ’60, l’Italia era nel pieno del cosiddetto boom economico: il PIL era in forte crescite, le banche sembravano più prodighe in termini di finanziamenti e l’industria riusciva a produrre beni adatti a tutte le tasche. Tale fotografia non basta però a spiegare il motivo per cui ciò che un tempo era disponibile a molti o a quasi tutti oggi è percepito come un bene quasi irraggiungibile.
Fino agli anni ’80 l’acquisto di un’auto ha rappresentato uno degli obiettivi principali per molte famiglie italiane. L’auto nuova non era più vista come un bene importante per affermare il proprio status sociale ma uno strumento indispensabile per vivere e lavorare. Anche allora, il costo di un’auto in relazione agli stipendi rifletteva una realtà economica assai diversa da quella attuale.
Perché le auto sono diventate beni oggi troppo cari per il ceto medio?
Oggi, gli stipendi lordi sono più alti rispetto agli ’60 e ’70, ma la tassazione è assai più gravosa. Per i lavoratori, le aliquote variano dal 23% al 43%, in questo senso, nelle tasche degli italiani resta ben poco. I soldi percepiti servono per pagare le bollette e mangiare, e alla fine del mese si riesce a risparmiare solo qualche spicciolo. Sono dunque le tasse ad aver ridotto il potere d’acquisto e reso più difficile l’acquisto di un’auto.
Ma non è ovviamente tutto. Anche l’industria automobilistica sembra aver cambiato target. Oggi a listino ci sono pochissime auto utilitarie: i produttori preferiscono mettere sul mercato veicoli per i redditi più alti. L’auto più bassa a listino nel 2024 è la nuova FIAT Topolina, che costa sui 9.500 euro, ma non è nemmeno una macchina, è un quadriciclo elettrico utile per la mobilità cittadina.
Inoltre, anche le poche utilitarie ancora prodotte costano quanto un tempo sarebbero costate le macchine per i più benestanti. Ciò dipende in parte dalla carenza di microchip avvenuta nell’ultimo quinquennio che ha rallentato parecchio la produzione e fatto impennare la domanda.
A crescere è stato anche il costo delle materie prime necessarie per la produzione di auto. Inoltre, le normative ambientali sono oggi più severe e portano a maggiori costi di produzione per rispettare gli standard di emissione.
I più critici sosterranno che qualcuno ci marcia: i ricchi continuano a potersela cavare o ad arricchirsi, mentre i poveri sono costretti a rinunciare a tutto o quasi. La situazione è peggiorata parecchio nell’ultimo decennio. Rispetto agli anni ’10 del terzo millennio i prezzi di alcune utilitarie sono saliti del 30% a fronte di stipendi invariati.
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