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La rivincita di Israele tra tecnologia e deterrenza #adessonews

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Talvolta celebrare un funerale può risultare fatale. Non per il morto ma per le persone che si radunano per condolersi. C’è anche il monitoraggio delle cerimonie funebri nella massa di dati che gli israeliani hanno raccolto in questi anni per stringere il cappio intorno a Hezbollah. Un mix di signals intelligence, big data, algoritmi, cyberwar. Già durante la guerra del 2006 Israele tentò di uccidere il boss dei boss, il capo dei terroristi libanesi Nasrallah, per ben tre volte. Fallendo. Venerdì scorso il colpo è riuscito, il cadavere del terrorista “con le mani sporche di sangue”, come ha detto Kamala Harris, è stato ritrovato, pare integro, avvalorando l’ipotesi che a ucciderlo siano stati i gas tossici delle esplosioni penetrati nel bunker privo di ventilazione in cui si nascondeva.

In meno di dieci giorni Israele ha decapitato Hezbollah, il gruppo terroristico finanziato e sostenuto dall’Iran che, a partire dall’8 ottobre 2023 (all’indomani del pogrom in cui furono trucidati oltre 1200 ebrei e in centinaia rapiti), ha scatenato una pioggia di missili contro Israele. Per le forze di difesa israeliane, IDF, è una parziale rivincita, una prova di forza volta a recuperare la credibilità delle forze armate e dell’intelligence israeliana dopo il fallimento del 7 ottobre, quando i servizi interni – lo Shin Bet – non furono capaci di evitare l’incursione via terra dei terroristi di Hamas.

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L’esistenza di Israele è da sempre legata alla sua capacità di deterrenza. Sin dalla nascita dello stato ebraico, in forza di una risoluzione delle Nazioni unite (la 181 del 1947), Israele si è ritrovato circondato da nemici, costretto a combattere per non essere spazzato via. Da settantasei anni la sopravvivenza di Israele dipende dalla minaccia o dall’uso della forza volto a dissuadere chi vorrebbe vedere lo stato ebraico cancellato dalle mappe geografiche. Israele esiste se è in grado di dimostrare, ogni istante, la propria superiorità militare e tecnologica. Per queste ragioni, il governo di Bibi Netanyahu sembra determinato a non mollare la presa, rispondendo colpo su colpo ai nemici di Israele, da Hezbollah agli Houthi in Yemen.

In un’epoca di antisemitismo risorgente, qualcuno vorrebbe che i cittadini israeliani si rassegnassero a vivere, ogni giorno, tra missili e droni che incombono sulle loro teste. In realtà, l’intervento militare in Libano appariva da tempo inevitabile: la comunità internazionale, in tutti questi anni, ha ignorato la mancata applicazione di una risoluzione, la 1701 del 2006, che impone alle milizie di Hezbollah di ritirarsi a nord del fiume Litani. I miliziani invece hanno continuato a presidiare la zona a sud, confinante con Israele, in modo da piazzare i loro lanciarazzi e colpire più facilmente villaggi e città. La stessa comunità internazionale ha ignorato la tragedia dei quasi 80mila sfollati israeliani, costretti ad abbandonare forzosamente la propria casa per mettersi in salvo. Con il terrore che possa accadere un nuovo 7 ottobre, che, come i terroristi di Hamas, anche quelli di Hezbollah possano decidersi a violare il confine e penetrare nel territorio israeliano per ammazzare, casa per casa, donne e bambini colpevoli di essere ebrei. A quale altro popolo si chiederebbe di vivere in queste condizioni? Sotto la minaccia quotidiana di chi vuole vederti morto? Immaginate se missili e razzi colpissero, quotidianamente, i paesini nel nord della Lombardia, ad opera di terroristi di stanza in Svizzera. Chiederemmo loro di porgere l’altra guancia o imbracceremmo le armi per difendere i nostri connazionali?

Con lo strike anti Hezbollah (applaudito anche dall’ala sunnita del mondo musulmano), Israele ha dato prova della propria supremazia militare e tecnologica. È il risultato di un lavoro di intelligence di assoluta eccellenza durato anni, alimentato da droni spia e infiltrati in carne e ossa, monitoraggio di social network e di funerali, avete capito bene. Ogni volta che una figura di rilievo muore in battaglia (soprattutto nell’ambito delle operazioni di Hezbollah, dal 2012, in Siria a sostegno del regime di Assad), parte il controllo di ogni canale di comunicazione, dai social network ai tradizionali necrologi che riportano il nome del “martire” e alcune informazioni essenziali (da dove viene, la sua rete di sodali). In Siria i miliziani di Hezbollah sono stati costretti a uscire dalle tenebre per condividere informazioni con i notoriamente corrotti agenti siriani e con l’intelligence russa, sotto monitoraggio Usa. La superiorità tecnologica israeliana poi ha fatto il resto: l’esplosione di cercapersone e walkie-talkie, trasformati in ordigni, ne è una prova. Alcune aziende, coinvolte nella produzione di questi aggeggi, erano state costituite nel 2022. Una manovra di lungo respiro. L’unità 8200, il reparto d’élite dell’intelligence israeliana specializzato in SIGINT (signals intelligence), si conferma il vero “motore” israeliano delle innovazioni in campo informatico che trovano applicazioni anche in ambito non militare. “Possiamo arrivare ovunque”, ha scandito il premier Netanyahu. C’è da credergli.



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