La proposta di aumentare la tassazione sulle plusvalenze delle criptovalute dal 26% al 42% in Italia ha suscitato ampio dibattito. Rispetto alle politiche fiscali di altri Paesi favorevoli alle criptovalute, questo aumento pone interrogativi sul posizionamento dell’Italia nell’economia digitale globale e sulla capacità di attrarre investimenti.
Politiche fiscali a confronto
In Germania, le transazioni di criptovalute detenute per oltre un anno sono esenti da imposte. Allo stesso modo, il Portogallo non tassa i guadagni personali da cripto. Svizzera e Singapore, diventate poli del settore blockchain, offrono schemi fiscali flessibili per favorire investimenti tecnologici.
Con l’aliquota proposta, l’Italia potrebbe scoraggiare gli investimenti locali e stranieri, incentivando un «jurisdiction shopping» verso Paesi con condizioni fiscali più favorevoli.
Le conseguenze per il mercato italiano
Questa tassazione elevata potrebbe spingere il talento e il capitale del settore blockchain fuori dall’Italia, ostacolando lo sviluppo del settore. L’entrata in vigore della regolamentazione Mica, che mira a standardizzare le normative sulle criptovalute a livello europeo, potrebbe mitigare questi rischi. Tuttavia, senza una tassazione competitiva, l’Italia rischia di rimanere indietro rispetto ad altri Paesi europei man mano che queste normative prendono piede.
Un fenomeno simile è avvenuto nel settore dell’e-commerce, dove alti dazi di importazione e digital tax hanno inizialmente limitato la crescita del mercato italiano, spingendo alcuni operatori a spostarsi in regioni più vantaggiose. Nel settore cripto, una tassa del 42% sulle transazioni potrebbe produrre effetti simili, riducendo il volume delle transazioni e potenzialmente ostacolando la trasformazione digitale in Italia.
Sebbene il tasso del 42% soddisfi esigenze regolatorie immediate, l’impatto a lungo termine potrebbe frenare l’ecosistema blockchain in Italia, spingendo investimenti e talenti verso altre regioni. Un approccio più equilibrato e in linea con le iniziative dell’Unione Europea potrebbe favorire una crescita sostenibile, mantenendo l’Italia competitiva nell’economia digitale globale. (riproduzione riservata)
*componente del comitato scientifico di Aicel (Associazione italiana commercio elettronico)
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