Da «assolutista del freespeech», il capo dell’ex Twitter ha ridotto la moderazione dei contenuti e aperto le porte agli estremisti. Ma nel 2020 Elon aveva votato per Joe Biden (per poi pentirsene)
Quaranta giorni fa, quando l’uragano Helene provocò danni immensi nel Sud degli Stati Uniti colpendo a sorpresa soprattutto le zone interne del North Carolina, la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, una fedelissima di Trump, sostenne sulla piattaforma X che governo e scienziati controllano ormai il clima: una tempesta manovrata dall’uomo. Assurdo, ma Marjorie ammonì: «Chiunque sostiene che non è così mente, si copre di ridicolo». Pochi giorni dopo, quando arrivò l’uragano Milton, toccò all’attivista dell’ultradestra Alex Jones, già condannato per aver calunniato i genitori dei bimbi uccisi nella strage della scuola elementare di Sandy Hook che secondo lui non c’è mai stata, solo una sceneggiata: Jones affermò che l’uragano era stato ingegnerizzato dal Pentagono.
Jones e la Taylor Greene erano stati a suo tempo espulsi da Twitter, insieme a molti altri estremisti, diffusori di odio e cospirazionisti, per aver violato i termini di servizio della rete sociale che escludono i messaggi palesemente falsi e calunniosi.
Dalla promessa di neutralità al sostegno scatenato a Trump
Quando, il 27 ottobre del 2022, Elon Musk, dopo molti tira e molla, comprò la rete sociale strapagandola (44 miliardi di dollari per una piattaforma strategica per l’informazione ma in perdita e priva di un business model redditizio), decretò quella che inizialmente definì un’amnistia: tutti riammessi. Poi passò da quello che era stato il perdono di utenti comunque ritenuti colpevoli di gravi violazioni, ad accusare la precedente gestione di Twitter di aver introdotto un ingiusto regime censorio. Scandagliando gli archivi della sua nuova azienda, il gran capo di Tesla e SpaceX scoprì che in un caso una storia pubblicata dal New York Post sui contenuti sospetti di un computer di Hunter Biden, il figlio del presidente, erano stati fatti sparire dalla rete. Cercò di montare uno scandalo di grande risonanza ribattezzando il caso “Twitter Files”, e promettendo che da da quel momento lui sarebbe stato un «assolutista del freespeech»: tutto pubblicato senza filtri salvo i contenuti dei quali veniva chiaramente dimostrata la natura criminale. Poi promise solennemente ai dipendenti di Twitter (quelli rimasti, visto che, con ondate successive di licenziamenti, Musk ha eliminato i tre quarti del personale, a cominciare dagli addetto alla moderazione dei contenuti immessi in rete) di rendere la rete sociale uno strumento neutrale.
Via i filtri: X terra di conquista dei complottisti
In realtà emerse che Twitter aveva accantonato la storia del Post perché la documentazione sembrava provenire da centrali spionistiche straniere. È successo anche di recente: i giornali progressisti hanno ricevuto materiale potenzialmente imbarazzante per Trump ma non hanno pubblicato nulla perché a fornirlo erano stati gli iraniani. E ora, due anni dopo, Twitter, diventata X, funziona da megafono della campagna per l’elezione di Trump con un’intensità e con metodi – colpi bassi compresi – mai visti prima nel mondo della comunicazione politica. In teoria, eliminato il filtro dei moderatori, qualunque estermista di ogni colore può usare X per diffondere messaggi falsi, teorie cospirative, demonizzare un avversario. In pratica la rete è diventata un potente strumento dell’ultradestra perché quasi tutti gli estremisti e i cospirazionisti ai quali è stato restituito il loro account, appartengono a quell’area. Ma, soprattutto perché Musk, padrone e gestore di X, ha aperto i rubinetti dei post più incendiari e destabilizzanti continuando ad amplificare accuse infondate di frodi elettorali. Una campagna condotta in prima persona coi suoi post (Musk è arrivato ad avere 203 milioni di followers), ma anche manovrando l’algoritmo di X in modo da favorire la diffusione di contenuti che ridicolizzano o, addirittura, criminalizzano Kamala Harris e la sinistra.
Auto elettrica: l’autogol di Biden che offese Musk
Non è stato sempre così. Nel 2016 Musk ha votato per Hillary Clinton, nel 2020 sostiene di aver scelto Biden. Ma già allora era iniziata la sua metamorfosi. Libertario sempre più insofferente di qualunque tipo di regolamentazione e miliardario allergico alle tasse, durante la pandemia si era infuriato quando, nelle settimane dei ricoveri di massa, le autorità californiane ordinarono la chiusura temporanea di scuole, uffici e fabbriche, compresa quella della Tesla. Da qui il trasferimento della sede, e anche di uno stabilimento automobilistico in Texas. Meno regole e meno tasse. Ma a farlo davvero infuriare, all’inizio della presidenza democratica, fu la scelta di Biden di escluderlo dal vertice sul futuro dell’auto elettrica convocato alla Casa Bianca. Il leader democrartico decise di invitare solo le aziende che avevano i sindacati in fabbrica. Biden elogiò pubblicamente l’amministratrice delegata della General Motors, Mary Barra: «Detroit è la capitale indiscussa dell’auto elettrica e tu stai elettrificando il mondo». Affermazioni ridicole. Biden avrà pure avuto il problema politico del rapporto coi sindacati, ma in quel momento la GM produceva poche migliaia di veicoli elettrici mentre Tesla già costruiva milioni di esemplari di vetture tecnologicamente molto più avanzate.
Quando Elon ripudiò Trump e sposò DeSantis (su X)
Il rapporto di Musk coi democratici è finito lì, ma il passaggio a Trump non è stato automatico. Elon sostenne che l’ex presidente era ormai un vecchio arnese: meglio un candidato giovane. Sponsorizzò la candidatura del governatore della Florida, Ron DeSantis, che iniziò la sua campagna elettorale proprio con una conversazione con Musk trasmessa su X. Trump, furioso, accusò Elon di essere un volgare cacciatore di favori statali pagati dai contribuenti: sussidi per l’auto elettrica e contratti della Nasa e del Pentagono per SpaceX. Ma la candidatura di DeSantis non è mai decollata: Musk è tornato discretamente ad aiutare Trump che ha agilmente conquistato la nomination repubblicana. Ancora a marzo, comunque, l’uomo più ricco del mondo sosteneva che non avrebbe versato nemmeno un dollaro per le campagne elettorali di repubblicani e democratici. Il resto è storia recentissima: l’attentato di luglio, Trump lievemente ferito e Musk che poche ore dopo annuncia la discesa in campo al suo fianco. Almeno 120 milioni di dollari donati alla campagna repubblicana, Elon che salta e balla sul palcoscenico dei comizi di The Donald, lotterie e premi in denaro per chi si iscrive alle liste elettorali. Calunnie e minacce via X a scrutatori e segretari dei seggi. Intanto X continua a fare il suo silenzioso ma devastante lavoro di logorio dell’attuale assetto politico e istituzionale: scrutatori e segretari di seggio sono guardati con sospetto, spesso minacciati, per le accuse infondate scagliate contro di loro e amplificate soprattutto da X. Le organizzazioni elettorali cercano di far pervenire alla rete di Musk le informazioni corrette, ma non trovano interlocutori e i moderatori non ci sono più. Ci sono invece i megafoni che raccolgono e amplificano anche messaggi costruiti dai troll del Cremlino. Mentre tornano i cospirazionisti dei QAnon, come @KanekoaTheGreat che ha diffuso un dossier di 32 pagine, promosso da Trump, con accuse di frodi nelle elezioni del 2020. Tutte accuse delle quali è stata dimostrata la falsità. Ma il post è stato comunque visto decine di milioni di volte. Eppure Musk, che non vuole filtri, aveva costituito all’interno di X una Election Integrity Community, alla quale hanno aderito ben 58 mila attivisti. Non si è accorta di nulla? Bè diciamo che questo organismo, costituito solo qualche settimana fa, ha altri obiettivi: «Scoprire e denunciare frodi e irregolarità elettorali». Così, tanto per scaldare i muscoli, ha cominciato ha lanciare sventagliate di accuse ancora prima dell’inizio delle operazioni di voto. Accuse – dalle macchine elettorali che trasferirebbero automaticamente suffragi di Trump alla Harris agli elettori del Michigan che voterebbero due volte – che un’analisi della CBS ha dimostrato essere quasi sempre false. Ma che alimentano la sfiducia nel sistema politico, nelle istituzioni democratiche.
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