Finisce in carcere con un’accusa di furto aggravato, in collegamento con le attività di una famiglia mafiosa del litorale laziale, e quando viene assolto fa richiesta di risarcimento per l’ingiusta detenzione. Per la Cassazione, però, l’assoluzione è arrivata per insufficienza di prove, ma senza scalfire l’impianto accusatorio e, quindi, niente risarcimento.
L’imputato, un 65enne umbro, era stato condannato a 3 anni e 6 mesi sei di reclusione in quanto considerato responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio e concorso in tre furti commessi nell’aprile del 2008.
La Corte d’appello di Perugia emetteva poi una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste (per alcuni capi di imputazione) e per non aver commesso (per un’altra accusa). L’imputato si rivolgeva alla Cassazione contro la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto la detenzione subìta dall’imputato “determinata da un fatto colposo del ricorrente”.
Per la Cassazione il ricorso è infondato basandosi sul principio della “causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione” in quanto lo stesso imputato avrebbe “dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare”.
Colpa grave che sarebbe stata desunta “dal contenuto delle intercettazioni” che sono state alla base della misura cautelare e da cui emergono una serie di contatti tra l’imputato e altri soggetti pregiudicati “caratterizzati dal ricorso ad un linguaggio criptico in cui sì discute circa l’ubicazione di un determinato immobile, i ‘ferri’ da utilizzare, sulla necessità di non lasciare la macchina in una certa zona”. In altre intercettazioni l’imputato avrebbe fatto “riferimento all’impegno nel sollevare qualcosa di molto pesante che sarebbe stato difficile caricare tanto da richiedere un aiuto”. Contro lo stesso ci sarebbero gli spostamenti “in piena notte verso zone con scarsa densità abitativa, l’ammonimento rivolto a chi si accompagnava a lui a prestare attenzione alle forze dell’ordine”.
Tutti elementi che non hanno portato alla condanna dell’imputato, ma che provano la partecipazione attiva dell’imputato nella ordinanza di arresto.
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