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L’attacco ai magistrati della destra non è il remake di un film già visto #adessonews

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Sotto le recenti rivendicazioni di poteri sempre maggiori, in Italia e altrove, potrebbe nascondersi una strategia ben più letale per la democrazia, con cui le forze dell’esecutivo intendono promuovere una politica a trazione governativa, con un parlamento a ricasco e un giudiziario al servizio. E questa strategia passa appunto per una drastica riduzione delle competenze dei giudici

Il ministro della Giustizia accusa i giudici di comportamento abnorme, cioè di superare i limiti di quella legge che pure li rende giudici. La presidente del Consiglio invoca decreti che possano aggirare gli esiti delle sentenze. Parlamentari e ministri della Repubblica in piazza rimettono in scena il canovaccio stanco dello scontro tra politici crismati dal mandato popolare e giudici non eletti.

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Insomma, tra gli strepiti allarmati di chi denuncia un attacco al cuore dello stato, la destra affresca lo scenario di una guerra di resistenza contro un potere sedizioso, quello giudiziario, che si starebbe facendo interdittore politico per metterne a soqquadro la mirabile opera di riforma sociale, politica e morale.

Benché un po’ comico, un po’ grottesco, sarebbe un grave errore leggere l’attuale attacco al giudiziario come la replica di uno spettacolo già visto. Sotto le recenti rivendicazioni di poteri sempre maggiori, in Italia e altrove, potrebbe nascondersi una strategia ben più letale per la democrazia, con cui le forze dell’esecutivo intendono promuovere una politica a trazione governativa, con un parlamento a ricasco e un giudiziario al servizio. E questa strategia passa appunto per una drastica riduzione delle competenze dei giudici.

La supplenza delle corti

Negli ultimi tre decenni, in effetti, le corti hanno accumulato poteri d’intervento senza precedenti. Alcune decisive sentenze hanno introdotto cambiamenti determinanti nei campi del lavoro, della migrazione, dei diritti Lgbt, della genitorialità, del fine vita e molti altri. Alcune volte queste sentenze ribaltano o mettono in questione le decisioni politiche; altre volte si limitano a indirizzare al legislatore dei moniti, destinati perlopiù a cadere nel vuoto.

Nondimeno, sarebbe improprio sostenere che un tale peso politico scaturisca da un qualche tentativo di sedizione da parte dei giudici, che violerebbero con dolo il principio politico della rappresentanza. La verità è un’altra: stante la drastica inefficienza del parlamento, i tribunali, bassi e alti, sono diventati il campo discorsivo cui i cittadini ricorrono con sempre maggiore frequenza per articolare le loro rivendicazioni. Sicché, la supplenza delle corti trae origine e spinta dall’esigenza dei cittadini di vedersi in qualche modo soddisfatti nelle proprie legittime istanze quando la politica cade in letargo.

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L’attacco della destra

È per questa crescente preponderanza del potere giudiziario, che a tutti gli effetti diventa un motore di trasformazione sociale, che molti governi della destra europea (e non solo) stanno lanciando un attacco rabbioso alle prerogative della magistratura.

Di recente, ha fatto scuola la cosiddetta “legge museruola”, mediante cui il Consiglio nazionale della magistratura polacco metteva i giudici sotto il controllo diretto del governo centrale, riforma bocciata nel 2023 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Ben più efficaci le mosse del padre riconosciuto della democrazia illiberale, Viktor Orbán, il cui governo esercita capillari funzioni di controllo sui giudici tramite i poteri di avanzamento di carriera e di supervisione dei procedimenti giudiziari.

Ancor più significativo per la sua potenza icastica, attenuata solo dalla ferocia della guerra in corso, è stato lo scontro sulla riforma della Costituzione israeliana, presentata a luglio 2023 dal governo Netanyahu. Essa intendeva porre fine al controllo giurisdizionale sulla “ragionevolezza” delle decisioni del governo, così sancendo il prevalere dell’esecutivo sul sindacato di costituzionalità.

La cosiddetta “dottrina della ragionevolezza” consente ai tribunali di controllare la procedura con cui vengono adottate le decisioni, il peso dato alle varie considerazioni in campo e la correttezza dell’esito conclusivo. Proprio perché tale dottrina garantisce un controllo ultimo del giudiziario sulla condotta dei funzionari pubblici, l’intento del governo era farne strame, finché il primo gennaio di quest’anno, pur con la ridotta maggioranza di otto contro sette, la Corte costituzionale non ha annullato la riforma.

Insomma, sarà bene non farsi ingannare dalla commedia incolore inscenata dalla destra vociante, che rischia di incipriare un ben più serio tentativo di redistribuire gli equilibri istituzionali a favore del potere esecutivo. E, se la rotta di un ridimensionamento del giudiziario è stata tracciata in modo sistematico e meticoloso da chi oggi in Europa fa vanto di illiberalità, speriamo che l’amore nostrano per l’avanspettacolo e l’operetta complichi l’attuazione del disegno, come perlopiù, ma non sempre, è accaduto nella storia italiana.

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